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Le non affinità elettive
26/04/2018 di Maria Medici
L’attuale situazione politica italiana delinea il venire al pettine una serie di nodi che sarà complicato sciogliere. Esigenze di governabilità, legittimamente invocate dal Presidente Mattarella si sommano ad esigenze, altrettanto legittime, di rispondere, da parte di alcuni, in modo serio e responsabile di fronte ai cittadini e al mandato che essi hanno scelto di dare a ciascuna forza politica. Lasciamo da parte per un momento i teatrini della politica e badiamo alla sostanza.
Paradossale che la forza politica che da queste elezioni esce sconfitta, il Pd, si trova ora chiamato a consentire l’eventuale nascita di un Governo per il Paese. Ancor più paradossale che a fare i passi in questa direzione sia un’altra forza politica che da sempre si muove, ragiona e argomenta, ponendosi come avversaria, anzi, “nemica” del Pd. Tanto nemica da auspicarne l’annientamento politico. C’è da domandarsi quale sia quel minimo comun denominatore tra Pd e 5Stelle che consenta almeno una specie di forma di dialogo. In tempi non sospetti ho pensato, e scritto, che il movimento di Grillo sia nettamente in antitesi per progetto, filosofia e sguardo d’insieme, non solo con il Pd ma con tutto un modo di fare politica che si richiama – o cerca di richiamarsi – al principio democratico del pluralismo riformista. Gli “auguri” di morte a Napolitano che hanno infarcito i social pentastellati non si possono liquidare come reazioni marginali perché sono stati partoriti dalla stessa logica e filosofia comunicativa e di sostanza ideologica che caratterizza l’intera strategia di quel movimento da sempre. Non basta mettersi la cravatta per convincere del contrario.
Non sono i dieci punti programmatici double face che M5S ha preparato in contemporanea per Lega e al Pd, lì dentro c’è l’abbecedario delle ovvietà e sono giusto buoni per le campagne elettorali.
Sono pure un segnale di quanta poca dimestichezza abbia il movimento pentastellato con le pratiche serie della proposta politica. Il contratto di convergenza in 10 punti è il compitino dato a casa ai ragazzini delle elementari. Il principio dei vasi comunicanti per cui i voti del Pd passati ai Cinquestelle farebbero di queste due forze politiche qualcosa di intercambiabile, dunque anche di coniugabile, non sta in piedi. Semmai, da parte democratica c’è da interrogarsi a fondo sui motivi di questo travaso, su cosa è mutato dentro la società italiana, su quali risposte si debbano dare al Paese. Non ci sono affinità elettive fra le due forze a meno che non ci si voglia rassegnare ad una china politica in cui, scomparsa la mediazione, il rapporto fra politica e società si caratterizza per la sua verticalità: il capo e il popolo, senza nulla in mezzo, solo vox populi e vox dei. Siccome il populismo è una pericolosa degenerazione di una democrazia incompiuta o in crisi, siccome non sempre la “massa” è portatrice di verità e la “maggioranza” alle volte necessita della calibrazione degli strumenti della democrazia, credo che ci si possa fidare molto poco del M5S. Il populismo è una cosa e il riformismo democratico un’altra. Due mondi e due strade completamente diverse. Ciascuno faccia la sua.
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