Le giornate mondiali dedicate a qualcosa rischiano sempre di trasformarsi in routine: oggi i poveri, domani i bambini, dopodomani i rifugiati. Una sorta di calendario delle pecche di questo mondo imperfetto. La stanchezza di chi organizza, ma soprattutto di chi viene informato della ricorrenza, è in agguato.
La cosa curiosa è che all’approssimarsi della data i media si rincorrono per dedicare approfondimenti, per annunciare notizie, statistiche, dati e informazioni che sembrano rafforzare la gravita della questione. Poi, come un onda che è passata, il giorno dopo i più riportano sotto silenzio drammi, notizie, storie. E si tira avanti.
Si avvicina la giornata mondiale contro la violenza sulle donne, fissata dall’Onu il 25 novembre. I dati che i media ci comunicano sono drammatici: 7 milioni le donne che in Italia hanno subito violenza sessuale o fisica, di cui 3 milioni sono quelle che l’abuso lo hanno subito dal proprio partner o ex. Ogni 72 ore una donna viene uccisa e 3 donne sono ammazzate in casa. Soprattutto italiane ammazzate da italiani, altro che infedeli che mirano alle nostre donne.
Un bollettino di guerra ed in questo caso una giornata mondiale è opportuna ma non basta. Non basta perché, passata la ricorrenza, tutto continuerà come al solito. Una piaga tragica che rimane lì, in attesa della ricorrenza del prossimo anno.
Violenza sulle donne, una piaga da sconfiggere in nome della civiltà? Oppure una piaga ancora caratteristica della nostra civiltà? La domanda vera è “ma di quale civiltà si parla?”. Abbastanza facile additare pratiche misogine di altre culture, in cui l’elemento religioso e sociale si intersecano da secoli per conformare una precisa struttura di potere, mantenendone l’inalterabilità nel tempo. Quella occidentale non è immune da residui di tali pratiche, ma quelle sono le punte dell’iceberg, che in profondità è formato da innumerevoli atteggiamenti, da mentalità dure a morire, anzi, per nulla intenzionate a soccombere, nella famiglia, nella politica, nel mondo del lavoro, nelle relazioni, nella chiesa, nella scuola, fin dall’infanzia.
Non ci aiuta neppure un’ottica evoluzionistico-sociale, dato che l’Istat ci informa che fra i giovani il rispetto dell’uomo verso la donna non è tanto di moda. Persino fra i bambini si possono benissimo osservare atteggiamenti che preludiano ad una possibile futura violenza di genere.
Qualsiasi strumento legislativo è bene accetto, anzi, risulta indispensabile: codice rosso, centri antiviolenza, leggi di tutela sul lavoro e nella famiglia. Non bastano però le leggi, seppure esse, alle volte, hanno il compito di camminarci innanzi, per guidarci. Ormai lo si è detto in tutte le salse: si tratta di una questione di cultura (ossia di “civiltà”) dove le generazioni replicano la mentalità e i comportamenti di quelle precedenti, ma dove le stesse strutture e organizzazioni paiono ancora conformate ad una mentalità sessista.
La soluzione possibile è racchiusa in una parola tanto forte quanto debole: educazione. Forte perché è la chiave che potrebbe mutare il pensiero dominante e scardinare la struttura culturale che impera e che provoca l’assassinio di una donna ogni 3 giorni e le quotidiane violenze sotterranee. Debole perché aggrappata alla buona volontà di qualcuno che cerca di nuotare controcorrente. Fare in modo che questi qualcuno diventino maggioranza.
C’è solo un ambito in cui l’educazione deve regnare per mandato assoluto e costituzionale ed è la scuola. È da lì che si deve e si può partire per educare, fin da piccoli, i cittadini ad essere rispettosi e a farsi rispettare e, soprattutto, a far crescere la coscienza nelle bambine di oggi, e donne di domani, che qualsiasi violenza fisica o psicologica è inaccettabile e non va mai giustificata. Ma la scuola che migliora le coscienze e migliora la civiltà è, lo sappiamo, l’ultima ruota del carrozzone della politica, quella miope che non guarda al futuro ma solo a far tornare i conti.
Da qui si deve ripartire, dal sostegno alla scuola che può riverberare il suo riflesso educativo sulle famiglie e sulle coscienze delle ragazze e dei ragazzi. La violenza sulle donne è un fatto culturale e dunque apprendere una nuova cultura è il primo passo per sconfiggerla.
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