Di fronte ai guasti che perdurano strutturalmente all’interno dei rapporti fra politica e società e a quelli che si sono aggiunti di recente, la percezione dei cittadini è quella di una classe politica distante, ancora troppo presa da beghe interne.
Oppure proiettata a sollecitare in modo artificiale ad un sentimento nazional sovranista, facendo leva sugli umori della gente e, furbescamente, non mettendo mano neppure per un minuto sui veri problemi della gente. Perché, e non ci si stancherà mai di ripeterlo, i veri problemi dell’Italia non sono la preservazione dei confini nazionali dall’invasione dei disgraziati né la difesa dell’italico presepe. I veri problemi del nostro Paese sono altri. Problemi grossi come case per i quali ci vuole esperienza enorme della gestione delle cose politiche e non fenomeni da baraccone nazional populisti.
La realtà delle cose è molto complicata e non basta neppure riempire dieci piazze per dire di aver trovato la soluzione. Chiedere alle decine di migliaia di persone, soprattutto giovani, che in queste settimane si stanno ritrovano sotto l’etichetta di “sardine”, di offrirci a tutti i costi una ricetta per i mali dell’Italia è, francamente, non solo ingenuo ma anche una richiesta in malafede.
In malafede, verrebbe da dire, perché è una richiesta
che parte da chi, fino a oggi, ha fatto poco o nulla per cambiare le cose. In Italia vige la regola per cui far le cose tocca sempre a qualcun altro, mai a noi. Quelli che blaterano contro i giovani che scendono in piazza sono spesso gli stessi che ragliano contro la ragazza svedese che si è fatta portavoce di un disagio giovanile planetario. Sono quelli che non hanno fatto nulla fino ad oggi. E sono buoni solo a criticare l’operato degli altri. Verrebbe da dire citando le amare parole di un film “state sempre in cattedra, come tutti i falliti”. Perché in effetti è di un fallimento che si deve parlare e siamo noi adulti i primi a doverne rispondere.
Le piazze sono fatte per accogliere il disagio, il malcontento, ma anche le speranze, le testimonianze di chi dice “io ci voglio essere” oppure “io non ci sto più”. I tanti ragazzi che scendono in piazza non sono certo la soluzione dei mali, ma sono sicuramente la testimonianza che ai mali che ci affliggono non serve più rispondere con tutto il corollario di pretese soluzioni rabberciate attorno a farneticazioni ideologico-patriottiche, a distorsioni della realtà (che in altri tempi di chiamavano prosaicamente “bugie”) o con la ricerca del nemico o capro espiatorio di turno.
Ma non bastano, e francamente hanno stufato, le diatribe di bottega che, ad esempio, a sinistra e dintorni, caratterizzano la preoccupante e desolante assenza di politica, massicciamente sostituita dal “politichese” degli andazzi di partito.
Si possono imputare alle sardine i peccati di ingenuità e di assenza di un programma politico (perché, francamente, i punti esposti qualche giorno fa sono tutto tranne che punti politici).
Tuttavia, una cosa l’hanno capita le sardine: qui siamo veramente così sprofondati nella morte del senso civico che, per risalire la china, al momento, potrebbe già bastare cominciare ad essere più educati quando si fa politica, aggredire meno con le chiacchiere e dare il buon esempio con le azioni. Se vi pare poco, allora continuate a fare teologie campate in aria contro il capitalismo e a difendere il presepe.
Sardine, Italia, il fenomeno sardine, movimento, Maria Medici, partecipazione politica, sardine e politica,
Commenti:
22/01/2020 10:38:56 di PieroCondivido ciò che esprimi, un pensiero vero su una politica da mercato, un gridare di chi ha sul banco un pesce più fresco
Commenta:

Letto: 1504