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Donne e violenza

24/11/2020 di Maria Medici

Il 25 novembre si avvicina recando con sé il faticoso bagaglio di una battaglia che sembra sempre appena cominciata. La Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, istituita più di vent’anni fa dall’Onu, come tutte le ricorrenze di questo tipo, si affanna alla ricerca di uno spazio di visibilità che possa dilatarne il messaggio nel quotidiano e al di là della ricorrenza stessa.



Ma soprattutto si mostra con più sempre evidenza che ad una attenzione normativa fortunatamente più attenta nel nostro Paese non corrisponde, purtroppo, un mutamento nei costumi sociali.

Le norme che tutelano le donne dalla violenza di genere evidenziano ancora, dato che c’è bisogno, la necessità di agire nell’emergenza e sul piano della sicurezza. Poco spazio viene dato, ad esempio, alla prevenzione della violenza, poiché probabilmente, tale attenzione richiede il calarsi dentro i meccanismi complessi dell’educazione delle bambine e dei bambini, ma anche dentro l’universo di certi atteggiamenti stereotipati la cui soluzione è una mutazione profonda di costume. È evidente che se si abbandona per un momento il piano della tutela emergenziale delle donne si finisce inevitabilmente a dover affrontare tutti i nodi irrisolti circa le disuguaglianze di genere ancora presenti: dalla famiglia ai luoghi di lavoro, ai ruoli di responsabilità politica. Nodi che hanno in certi casi radici comuni con gli atteggiamenti violenti, ad esempio, in famiglia, luogo principale in cui la violenza fisica sulle donne continua a perpetrarsi e che, in un certo senso, rappresenta lo spazio reale nel quale passa la liberazione delle donne dai ruoli culturalmente precostituiti, con la conseguente reazione violenta di certi uomini.

Sul piano giuridico, in realtà, la situazione non è, poi, affatto rosea. Ancora forti appaiono le difficoltà giudiziarie relative ai procedimenti sulle violenze alle donne, sul piano penale; come sono forti quelle sul piano del diritto civile, in relazione alla regolamentazione dell’affido dei figli in presenza di violenza famigliare. Per non parlare, infine, della disastrata situazione in cui versa l’organizzazione e il sostegno ai centri antiviolenza sparsi in maniera del tutto disomogenea nella Penisola o, ultima ma non meno importante, questione delle donne migranti.

Occorre una prevenzione che parta da lontano, dai più piccoli, attraverso un progetto educativo ad ampio respiro, non legato all’occasionalità delle ricorrenze o alla buona volontà di alcuni insegnanti ma che divenga “normalità pedagogica”. Questo è il primo ineludibile passo da compiere se si vuole guardare oltre l’orizzonte dell’emergenza.


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