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#Astensionismo al #femminile

17/04/2018 di Maria Medici

A far riflettere chi proclama da settimane che la palma di rappresentante della nazione spetta a lui o al suo partito bisognerebbe ricordare che ci sono undici milioni e mezzo di persone che non hanno votato alle ultime elezioni, più o meno un quarto dell’elettorato. Una percentuale di questo tipo non è una anomalia (o, diciamo, nessuno la considera più tale) ma rientra nella normalità dell’arena politica. Significativo è però il fatto che di questi non votanti ben sette milioni, ossia i due terzi, sono donne. Un numero ben più alto rispetto al passato e che non ha eguali nelle altre democrazie occidentali. Vi è chi ha provato a spiegare questo fenomeno con la crisi che ha colpito la società italiana, la crisi del welfare, che ha riportato il fulcro sociale principale dentro la #famiglia, soprattutto chiedendo alla donna di farsi carico di un pesante fardello ma senza offrire una contropartita, fosse anche un riconoscimento del ruolo femminile nel sistema sociale postwelfare.
Le ragioni che hanno allontanato le #donne dal voto sono molteplici. E con tristezza capiamo come cambiano le cose, come da una stagione all’altra, anche quella che nel 1946 era stata salutata come una grande vittoria della democrazia, ossia il voto alle donne, si è mutata per tante di loro in uno stanco e alle volte rifiutato rituale.

Una buona metà delle donne che non ha votato è composta da casalinghe, un gruppo i cui voti, ci informano le ricerche, avrebbero permesso di raggiungere la soglia di sbarramento in Parlamento. Ma attenzione alla facile sociologia: la casalinga degli anni Duemila non lo è spesso per scelta culturale ma per costrizione. Non sono le casalinghe timorate di Dio che si volevano tenere lontane dalle urne perché facilmente influenzabili da qualcuno, in primis dai maschi. No, si tratta di donne disilluse, che a casa ci restano per forza, o perché, dopo anni di studio, il lavoro non c’è, oppure è un lavoro precario in virtù del fatto che sono donne o, anche, perché costrette da un carico di lavoro di cura dei propri cari, data la latitanza, soprattutto nel Meridione, dei servizi di sostegno ai nuclei familiari.
Si tratta di un dato che andrebbe preso in considerazione ove si voglia cominciare a lavorare per ricostruire un rapporto “vero” con le cittadine e i cittadini, non fatto di promesse aleatorie, ma di provvedimenti concreti, ancora più incisivi di quelli posti in essere negli ultimi anni.

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