
Negli ultimi tempi si è cominciato a parlare con sempre più insistenza di un nuovo modello di partecipazione democratica alla vita politica. Il modello, definito di “democrazia deliberativa”, in verità è un concetto che copre uno spazio di posizioni abbastanza ampio e variegato, accomunate, tuttavia, dall’esigenza di individuare delle strade per ridare fiato ai regimi democratici che soffrono attualmente di grave crisi di rappresentatività. Sotto la definizione di “deliberazione”, in senso lato, si vorrebbe rintracciare la procedura che consentirebbe di diminuire la distanza fra gli “agenti politici” (i cittadini) ed il momento della decisione, riducendo tale distanza attraverso specifici momenti di deliberazione collettiva su temi di comune interesse.

Ciò, ovviamente, presuppone che la cittadinanza che delibera sia informata e libera nel suo giudizio di modo tale che la sua “coscienza” politica sia mossa non da altro che dall’opportunità collettiva generale. Entra in gioco, quindi, il concetto di “ragionevolezza”, criterio che il cittadino deliberante dovrebbe tenere sempre presente nel momento della decisione. La scelta fra una o più opzioni dovrà esercitarsi tenendo conto delle “pubbliche ragioni” la cui salvaguardia rappresenta l’obiettivo finale. Paternità “nobili” di questo filone di pensiero sono state intraviste in molteplici momenti della storia della riflessione politica: nei tentativi di teorizzare forme di democrazia diretta e nella critica verso i modelli e le regole della rappresentanza, in approcci “storici” ma, comunque, considerati in parte fonte di possibile ispirazione. La stessa nozione di democrazia ateniese è stata presa a modello insuperabile e al quale aspirare, seppure d’obbligo sono da fare le opportune distinzione in ordine ai numeri, all’epoca e alla natura della complessità sociale. Difatti, se si vuole individuare un primo nodo critico di tale approccio, esso spicca, evidentemente, nella differenza numerica fra i cittadini d’Atene e una moderna democrazia. La differenza risulterà banale ma è, invece, essenziale, quantomeno perché essa riduce lo spettro d’azione di una possibile democrazia deliberativa attuale.
L’agorà greca non è uno spazio sufficiente per deliberare oggi; e non lo è neppure nei tentativi di trasferire tale spazio nella Rete, dove il rischio è quello di scimmiottare improbabili plebisciti d’altri tempi. Al numero di chi delibera si associa la competenza su cosa si deve deliberare. Ed anche qui si presentano non pochi problemi in ordine alla “ragionevolezza” richiesta (dato che il divenire competenti richiede tempo). Numeri e competenza sono solo due dei tanti scogli contro i quali si infrange una idea di democrazia deliberativa diffusa. Per cui, la partita sembra venga vinta dal modello rappresentativo laddove, tali scogli appaiono da quest’ultimo modello superati, seppure rinunciando ad un allargamento della partecipazione diretta. In tal senso, i numerosi studiosi che se ne sono occupati, hanno individuato diverse soluzioni per la concreta realizzazione dell’ideale deliberativo, escludendo, per ragioni di impossibilità pratica, il momento deliberativo universale (ossia in cui tutti i cittadini si radunano per deliberare), rimangono in piedi alcune soluzioni, per così dire, di “compromesso”, come, ad esempio, il modello di “democrazia deliberativa rappresentativa”, il quale prevede una forma istituzionalizzata di deliberazione all’interno di un’assemblea che rappresenti tutti gli orientamenti politici dei cittadini.
Si tratta di un terreno insidioso che, tuttavia, può essere percorso fatte però le debite proporzioni in nome della concretezza. Un modello di politica deliberativa, così pensano molti studiosi, è possibile a livello micromunitario. Del resto, alcune forme di partecipazione politica (vedi quella dei partiti) hanno funzionato proprio attraverso questo meccanismo. La novità potrebbe essere, però, nell’interfaccia diretta con i poteri locali: non assemblee dalle quali scaturiscono deleghe ma decisioni proposte direttamente a chi amministra. Ciò sarebbe possibile qualora venisse applicato a livello comunitario ristretto e su una agenda politica limitata agli aspetti che più da vicino interessano la comunità stessa investita dal compito di deliberare.
Si può pensare a comuni non oltre un certo numero di abitanti (tenendo conto anche della non obbligatorietà per i cittadini a partecipare ai momenti deliberativi), oppure, nei casi delle municipalità urbane, ad assemblee deliberative di “quartiere”. Momento centrale è quello della partecipazione “informata” e, dunque, “consapevole”, elemento che consentirebbe il superamento della distanza spesso percepita fra la “politica” e i cittadini, anche laddove molte delle deliberazioni su azioni operative resterebbero comunque legate alla volontà e alle regole di organi amministrativi e politici superiori (ad esempio, il deliberare una riorganizzazione della viabilità o del sistema di pulizie delle strade). Il momento “informato” che accompagna quello deliberativo risulterebbe utilissimo in molti casi per far toccare con mano al cittadino cosa significhi governare un territorio, accorciando così quella distanza di cui sopra.
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