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#PorteChiuse, #PostiSeparati. Una questione di donne !

04/01/2019 di Maria Medici

Fa riflettere l’accostamento involontario di due fatti avvenuti questi giorni che riguardano ambedue i diritti delle donne.



In India ha fatto scalpore il gesto di alcune donne che, sfidando millenarie credenze, hanno varcato la soglia del tempo dedicato ad Ayyappan, una divinità la cui adorazione è da sempre prelcusa alle donne in età fertile, poiché considerate impure. Il gesto è per lo più simbolico e segue, come accade spesso in India, una decisione giuridica che puntando al riconoscimento della parità fra uomo e donna incontra una grande ostilità nella società, ostilità al limite dell’isteria collettiva: le donne che hanno tentato il “blitz” sono state scortate dai militari per evitare che fossero linciate. La tradizione per cui il binomio donna-sangue mestruale è da considerarsi come elemento di distubo nella purezza e nell’equilibrio socioreligioso è molto antica nonché largamente diffusa in diverse culture.

Il caso indiano è emblematico ed è solo la punta di una serie di discriminazioni religiose in cui le donne sono considerate “a parte”, in second’ordine, categoria umana socialmente inferiore. E siccome le religioni, nessuna esclusa, prendono parecchi spunti non solo dall’ultramondo ma soprattutto da questo mondo e dalle sue regole sociali e culturali, ecco che si palesa chiaramente la riproposizione di un modello, di un paradigma comportamentale che ha una sua natura squisitamente sociopolitica anche se ammantata di incenso, visioni e preghiere. Non deve meravigliare il fatto, poi, che ben 5 milioni di persone hanno partecipato di recente alla catena umana, sempre in India, per chiedere, appunto, che cessi la pratica dell’impedire alle donne di poter entrare in determinati templi. Non è un diritto circoscritto alla sola sfera religiosa, per cui da considerarsi come un “fatto” limitato ai soli credenti.

Almeno non India dove i culti religiosi hanno una profonda importanza nell’esistenza degli individui e, dunque, delle donne. Se poi consideriamo che il culto religioso è di per sé un culto anche pubblico, si capisce come la lotta delle donne indiane sia più che legittima e necessaria per affermare una parità sostanziale.
Alle porte chiuse dei templi indiani fa eco, con le debite differenze di spessore culturale, il fatto che alla finalissima di supercoppa (fra due squadre italiane), che si giocherà in Arabia Saudita, le donne avranno i posti nello stadio rigidamente separati, come d’uso in quel Paese. Anzi, le zone migliori dell’arena saranno direttamente precluse alle tifose. Al tempio induista, testimone di una religiosità arcaica, qui si sostituisce un tempio contemporaneo, innalzato al dio pallone, che notoriamente trasuda di quattrini a palate e che, infatti, per l’occasione ghiotta di cui s’è detto, ruota attorno a cifre di ingaggio e premi da capogiro.

A parte distinte lamentele di prammatica (da destra e da sinistra), pure legittime e giuste, per carità, nessuno ha il coraggio di fare un serio boicottaggio date le relazioni con la dinastia saudita, notoriamente (si fa per dire) illuminata in fatto di diritti delle donne.
Divinità e templi religiosi o divinità e templi calcistici, mi sembra di capire che le somiglianze, purtroppo si limitino ad un’unica e amara verità: non c’è posto, ancora, per le donne.

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